CENNI STORICI


cane

Il Cane di Fonni è conosciuto anche come mastino fonnese o pastore fonnese, ma è chiamato “cani fonnesu antigu” nell’ambiente pastorale, spinone fonnese dai cacciatori e cani sardu antigu dagli anziani di tutti i paesi della Sardegna. Nel paese di Fonni, dove viene chiamato “ane ‘e accappiu” (cane da catena o da guardia), si è conservato nel nucleo più originario perché tramandato gelosamente da padre in figlio.

I ceppi originari  degli animali prendono il nome dalla famiglia allevatrice da generazioni. Le famiglie Loddo e Coccolone soprannominate rispettivamente “Addai” e “ Cussuggia” sono due di queste ed i cani fonnesi attualmente presenti in Sardegna discenderebbero dalle stirpi da loro selezionate, in conseguenza della “sottrazione” di una cucciolata a suo tempo commessa a danno dei pochi e gelosi detentori della razza. Gli Aggiustru ed i Biaceddu avevano i cani più belli, ma c’erano anche i Manias, i Maggios, i Tracathu, gli Othale ed i Vracone. Diversi possessori di questi cani sopprimevano le femmine per non permettere ad altri di possedere la razza.

La versione più accreditata fa discendere questi cani da antiche e ripetute selezioni tra veltri e cani mastini e più verosimilmente sarebbero il frutto dell’incrocio tra i molossi utilizzati nel 231 A.C. dal  console romano Marco Pomponio Matone per contrastare le continue incursioni dei mastrucati ribelli (Zonata VIII, 19 P.I. 401) ed il cane locale, si è supposto un levrieroide. Alla luce di una lettura più attenta, si potrebbe ritenere che i cani importati  dal console romano dall’Italia fossero dei segugi (sagaces canes) utilizzati per la ricerca dei nascondigli dei predoni sardi. Il Prof. Marco Zedda della Facoltà di Medicina Veterinaria di Sassari, già da diversi anni sta lavorando per dimostrare l’ipotesi che i cani a suo tempo portati dai romani per stanare i sardi fossero cani da seguito, segugi, mentre mastino o molosso poteva più verosimilmente essere il cane locale, il discendente di quello appartenuto all’uomo nuragico fosse esso pastore, cacciatore o guerriero, raffigurato nei bronzetti esposti nel museo nazionale di Cagliari e testimoniato dal rinvenimento di alcuni reperti ossei. E’ stato ritrovato un graffito che testimonierebbe l’esistenza in Sardegna di un grosso cane dalla coda mozza già prima dell’avvento romano. Nella primavera dell’anno 1905 il Soprintendente alle Antichità A. Taramelli rinvenne, sull’architrave di una tomba di giganti in località Craminalana, nel Comune di San Giovanni Suergiu (Sulcis), un graffito ora depositato presso il Museo archeologico di Sant’Antioco (Ca), che il prof. Giovanni Lilliu, accademico dei Lincei, ritiene che il quadrupede raffigurato nella lastra di Criminalana sia un cane e che la rappresentazione possa datarsi intorno all’ottavo secolo A.C. La presenza del cane molosso e del levriere prima dell’arrivo dei Romani in Sardegna è testimoniata dalle terre  cotte figurate rinvenute nella laguna di Santa Gilla (Cagliari) negli anni 1891 e 1892, esse sono riferibili al periodo fenicio-punico (Vivant) o tardo punico e quindi riferibili ai Cartaginesi di Sardegna (F.Barreca).

E’ stato possibile constatare evidenti compatibilità morfologiche e morfometriche, relativamente alla forma e dimensioni della testa, all’ipofisi occipitale ed alla consistenza e forma dei denti canini e degli incisivi (è singolare lo sviluppo dei canini e dell’incisivo terzo superiore), tra gli animali presentati ed i reperti ossei, in totale sessanta resti riferibili a sette soggetti tra cui sei crani di cane tutti delle stesse dimensioni, aventi caratteristiche alquanto omogenee, rinvenuti dalla Sovrintendenza Archeologica all’interno del pozzo nuragico di Santu Antine nelle campagne del comune di Genoni (Nu), animali che si ritiene siano stati sacrificati come offerta propiziatoria. I reperti ossei sono stati oggetto di studio dell’Associazione Italiana di Archeozoologia e sono stati presentati dal Prof. Marco Zedda e dal Prof. Valentino Petruzzi al terzo Convegno nazionale tenutosi a Siracusa dal 3 al 5 novembre 2000.

Le caratteristiche del cane al quale sono appartenuti i crani repertati sono quelle di un cane mesocefalo, che può essere  ancora riconosciuto nel cane di Fonni.

La tradizione orale narra come anticamente esistessero nell’Isola due tipi di cane molto simili, uno nelle zone interne e l’altro presente nel campidano di Cagliari e sulle coste, questo ultimo con il manto tigrato alquanto più grande e con il pelo più corto rispetto al primo.

Il Fonnese attuale è da molti ritenuto il frutto dell’incrocio, è conseguente selezione, tra questi due animali.

Un’altra ipotesi indica in altre due rare razze l’origine del cane di Fonni: il Cane di Bonorva, un animale dato per estinto ma da alcuni identificato nel Dogo Sardesco, ed il Levriero autoctono.

Il cane Fonnese viene citato nell’ opera di Emanuele Domenech  “Pastori e banditi”, da Salvatore Saba nell’Itinerario- Guida Storico-Statistico dell’Isola di Sardegna, il Gesuita Antonio Bresciano nell’opera “Costumi e usi della isola di Sardegna” del 1861,nella pubblicazione “I quadrupedi di Sardegna” del 1774, Padre Francesco Cetti scrive del “can sardo”, così chiamato perché molto comune nell’isola. Altre fonti che narrano di questo cane sono:

Baldassarre Luciano (1843), Goffredo Canalis (1833-1856), Alberto Della Marmora e Francesco Corona (1896), Sebastiano Satta, Antioco Casula, Antonio Mereu, ma anche Gabriele D’Annunzio.

Ferocia, un ottimo olfatto e udito finissimo furono le caratteristiche che fecero di questo cane dei cani da guerra e come tali furono impiegati in Libia al fine di prevenire gli attacchi agli accampamenti italiani da parte dei ribelli Senussi che, strisciando tra i canneti, cercavano di penetrare le linee italiane.  Il sergente Antonio Coinu era nativo di Fonni ed era uno dei militari volontari che furono mandati a casa in licenza per alcuni giorni al fine di acquistare cani da mandare in guerra.

Parrebbe siano stati impiegati dalla Brigata Sassari durante la Prima Guerra Mondiale ed utilizzati dalla Guardia di Finanza nel 1932 in Tripolitania. Dopo l’armistizio, i tedeschi in fuga trafugarono degli esemplari, che parrebbe siano stati successivamente utilizzati per rinsanguare lo Schnauzer. Si aggiunga a questo lo stillicidio di animali causato dai Baschi Blu della Polizia di Stato negli anni settanta del secolo scorso quando, durante le perquisizioni degli ovili, gli animali che avventavano venivano abbattuti.

Il Cane  Fonnese un tempo, e in parte ancora oggi, aiutava il pastore nel governo del gregge. I racconti sul loro addestramento sono suggestivi. I cuccioli dovevano crescere senza avere contatti umani e venivano tenuti nelle buche nel terreno ricoperte di frasche: venivano alimentati con latte di pecora, alla cui mammella venivano attaccati piccolissimi, al fine di associare gli odori dell’animale che li nutriva con il concetto di madre da difendere ad ogni costo. Un solo animale, se ben addestrato, è in grado di vigilare e condurre un intero gregge.